Friday, June 11, 2010

Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX

Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX 
di Mariano Armellini 

pubblicato dalla Tipografia Vaticana
1891
Il testo è nel dominio pubblico.

Santa Maria in Trastevere


Celeberrima è la basilica trastiberina dedicata alla Vergine, e così ricca di memorie e monumenti che appena un grosso volume basterebbe a riepilogarne la storia.

Da Lampridio sappiamo che Alessandro Severo per legale sentenza mantenne i cristiani nel possesso d' un luogo d' adunanza nel Trastevere, contrastato ai medesimi dai popinarii o tavernari. Ora, i documenti ecclesiastici riferiscono alla nostra basilica la sentenza di Severo, il più amico e benigno imperatore che avessero i cristiani nei secoli delle persecuzioni. Il chiesa, seppur concedasi, non va inteso nel modo del tardo compilatore della biografia di Callisto nel Liber pontificalis, ove si dice che quel papa ivi edificò una chiesa dedicandola alla Vergine. Tutto ciò deve spiegarsi secondo l' indole dei primi secoli e secondo l' uso e la disciplina ecclesiastica di quell' epoca in cui le prime chiese non furono se non case destinate ad adunanze religiose; e le prime che portarono i nomi dei santi furono quelle erette sui loro sepolcri, o su altre loro memorie, o dove quelle memorie erano state trasferite dopo il secolo IV.

Si vuole adunque che il luogo aggiudicato da Severo ai cristiani fosse un hopistium, ovvero taberna meritoria. A questa allude un' antica epigrafe che si trova nel codice palatino, ricopiata nel secolo VIII in questa chiesa, il cui testo era il seguente e si leggeva sulla fronte della basilica:

HAEC DOMVS EST XPI SEMPER MANSVRA PVDORI
IVSTITIAE CVLTRIX PLEBI SERVAVI HONOREM

Checchè sia di ciò, la penuria dei documenti non ci permette precisare nulla con certezza e discernere il vero dal falso in ordine all' origine della nostra basilica nei tempi anteriori alla pace di Costantino. Egli è certo che alla storia s' aggiunse poi la leggenda, e questa benchè assai antica ci parla d' una fonte d' olio ovvero nafta che l' anno 753 di Roma, poco prima della nascita del Redentore, avrebbe da quel luogo scaturito; leggenda già nota ai tempi di Eusebio che pel primo la raccolse, seguito in ciò dagli storici della decadenza, specialmente da Eutropio ed Orosio. Se dico leggenda, non dico favola, poichè a parer mio un qualche storico avvenimento dette certamente occasione ed origine a quel popolare ed secolo racconto, trasformato poi ed abbellito nel modo anzidetto.

La storia della basilica incomincia con Giulio I, il quale circa il 340 la edificò dai fondamenti, trasformando forse la prima casa e titolo dei cristiani del Trastevere in un edifizio basilicale secondo il tipo architettonico del secolo IV.

Da quell' epoca la basilica trastiberina, cioè il Titulus Iulii, fu congiunto al titulus Callixti. Anzi questo secondo fu perpetuato, con eccezzione unica nei monumenti e nelle appellazioni della Roma cristiana.

L' epigrafe di un collare d' un servo fuggiasco dei tempi costantiniani nomina un'area, cioè una piazza di Roma, appellata AREA CALLIXTI che era appunto quella di Trastevere, siccome ha dimostrato il ch. De Rossi, dove quel santo papa fu gettato dalla finestra ed ucciso. Ed anche oggi dura la memoria topografica e tradizionale di quel martirio presso la basilica di s. Maria in Trastevere. Anzi il De Rossi osserva, che il continuatore del catalogo papale, il quale vide costruire quella basilica sotto l' impero dei figli di Costantino, la dice eretta trans Tiberim regione XIIII iuxta Callixtum, parole che testificano essere contigua, ma anteriore a Costantino la memoria Callixti in quel luogo. Giulio adunque eresse la basilica trastiberina presso il sito e la memoria del martirio di Callisto, vicino la cui tomba poi, via Aurelia, volle essere sepolto. Egli è perciò che sebbene dalla nostra fu distinto il Titulus Callixti, pur tuttavia fu detto anche promiscuamente Titolo di Giulio e di Callisto. Giovanni VII fu il pto che nobilmente restaurasse la basilica di Giulio e ne ornasse di pittura le pareti nei primi anni del secolo VIII. Nello stesso secolo l' esempio fu seguito dai papi Gregorio II e III, finchè Adriano I ampliò la basilica aggiungendo due navi. Gregorio IV nell' 828 edificò presso la chiesa un ampio monastero che si vuole fosse dedicato al papa s. Cornelio, ed in quello vi pose de' monaci che giorno e notte salmodiassero numero, in cui eresse pure una cappella del presepe: alzò poi il pavimento della tribuna aggiungendo alcuni gradini per salire a quella, e al disotto pose nella confessione i corpi deiss. Callisto e Calepodio.

Leone IV verso l' anno 848 la restaurò di nuovo, e Benedetto III riedificò l' atrio che crollava insieme al portico, il battisterio ed i secretarî. Sopra tuji nel medio evo, il papa Innocenzo II romano, della famiglia dei Papareschi, si occupò della basilica trastiberina. Egli nel 1139 la riedificò quasi dai fondamenti, fece eseguire il musaico dell' abside, aggiunse due colonne presso la tribuna, eresse il ciborio sostenuto da colonne di porfido. Ma non giunse a compiere l' opera, che invece fu terminata da Innocenzo III. In tempi a noi più vicini altri grandiosi lavori vi fecero s. Pio V e Clemente XI; questi comandò che si restaurassero i musaici dell' abside e della facciata, e v' aggiunse il nuovo portico con i disegni del Fontana.

Ma a nuovo splendore la tornò il papa Pio IX di s. m., che con grandiosi e magnifici lavori riabbellì questa monumentale gemma del Trastevere.

Nelle escavazioni fatte per compiere i grandi restauri ordinati dal papa Pio IX, vennero alla luce nuovi ed inaspettati monumenti. Si sciprirono sotto ilpmt gli avanzi del recinto comunemente appellato Schola Cantorum, ed i plutei marmorei che lo chiudevano; recinto che fu opera di Gregorio IV, come leggiamo nella vita di lui. Si crede che le ventiquattro colonne di granito bruno della nostra basilica avessero appartenuto già ad un tempio d' Iside, poichè figure d' Iside, di Serapide e d' Arpocrate ne adornano le volute. Forse esse spettavano all' Isèo Campense, donde le avrebbe tolte Innocenzo II.

Quei singolari e notevolissimi simboli furono martellati e distrutti in occasione dei restauri eseguiti nella nave della basilica trastiberina l' anno 1870.

Tornando ora alle scoperte fatte in occasione degli ultimi restauri, sotto il grande arco dell' attuale basilica edificata da Innocenzo II, si rinvenne il principio dell' abside spettante alla basilica più antica, la quale perciò era minore dell' innocenziana, ed innanzi a quello si videro le vestigie del tribunal costruito per opera de Gregorio IV, con i gradini per ascendere all' altare. Questo papa costruì il detto tribunal, facendo anche un agger maximae molis sopra un antro clandestino, che scavò dentro l' ámbito dell' abside per riporvi ed occultarvi i corpi dei famosi pontefici Cornelio e Callisto. Nelle vestigia dell' abside, come scrive ili De Rossi, nelle costruzioni laterali, nel pavimento ornato di varî marmi e nel tribunale, si videro tracce dei lavori di Giulio I successore di Silvestro, e poi di quelli di Gregorio IV, a cui pure spettano alcuni brani d' intonaco con decorazione dipinta, sim a quella rinvenuta dal cardinale Bartolini nella confessione della basilica di s. Marco.

La basilica nel suo complesso mantiene il tipo primitivo: è preceduta da un portico sostenuto da quattro colonne di granito bigio. Sulla facciata v' ha un prezioso musaico, nel quale è rappresentata la Vergine sedente e allattante il suo figliuolo, corteggiata dalle vergini offerenti i loro vasi pieni dell' olio che dee alimentare la mistica fiamma. Ai piedi della Madonna sono due supplicanti, cioè gli oblatori dell' opera. Quel musaico fu restaurato sotto Niccolò V nel 1466, poi sotto Clemente XI, Leone XII e Pio IX.

Sull' autore di questo musaico sono varie le opinioni; i più lo credono di Pietro Cavallini. Non sembra infatti che Innocenzo II che rifece tutta la chiesa, facesse pure la porta e il portico, come fa sospettare Benedetto Canonico contemporaneo d' Innocenzo. Il Malvasia crede che sia opera del 1148 quando sedeva Eugenio III: i due supplicanti, secondo il Platner, sono Innocenzo II fondatore del nuovo edifizio ed Eugenio III che lo compì.

Il ch. sig. E. Stevenson nella biblioteca del British Museum ha scoperto un prezioso necrologio di questa basilica con annotazioni del secolo XIV del tempo del Cavallini: ivi si fa menzione di quel musaico rifatto e ristorato, onde è probabile che di quelle imagini il Cavallini ne fosse il restauratore. Tre porte mettono dal portico nelle tre navate della chiesa, il cui ricchissimo soffitto è fatto costruiti disegni del Domenichino, il quale pure dipinse il meraviglioso quadro dell' Assunta che vedesi nel centro. Esso fu fatto eseguire dal cardinale Pietro Aldobrandini l' anno 1617.

Sotto l' altare maggiore d' Innocenzo II v' ha la confessione, in cui riposano i corpi dei martiri di già ricordati, e lì vicino è il luogo ove, secondo la leggenda, sarebbe scaturita la fatiscente d' olio, su cui è scolpito: FONS OLEI.

La tribuna della basilica è ricoperta di una splendida opera in musaico la cui data è certissima. Innocenzo II (a. 1130‑1143) che rinnovò tutta la basilica, ne compì anche il musaico e lo insegna la imagine di lui col nome INNOCEN PP; nel giro inferiore poi si legge il seguente epigramma:

HAE IN HONORE TVO PRAEFVLGIDA MATER HONORIS
REGIA DIVINI RVTILAT FVLGORE DECORIS
IN QVA CHRISTE SEDES MANET VLTRA SAECVLA SEDES
DIGNA TVIS DEXTRIS EST QVA TEGIT AVREA VESTIS
CVM MOLES RVITVRA VETVS FORET HINC ORIVNDVS
INNOCENTIVS HANC RENOVAVIT PAPA SECVNDVS.

Un' epigrafe in lettere di forma gotica che si leggeva sul sepolcro del papa suddetto, e che oggi sta nel portico della basilica, ricorda l' epoca dei lavori fatti alla medesima, cioè dal 1140 al 1148:

† HAEC REQVIESCIT
VENERABILIA OSSA
SCISSME MEMORIE
DNI INNOCENTII PP
II DE DOMO PAPARE
SCORVM QVI PRESE
TEM ECCAM AD HO
NORE DI GENITRICI
MARIE SICVT E A FV
DAMET SVTS PPIS RE
NOVAVIT S . A . D. M C
XL : 7C . A D : M : C XL
VIII

I musaici dell' abside furono più volte risarciti anche nell' epoca nostra sotto il pontificato di Pio IX.

La composizione è la seguente: nel centro sta il Salvatore vestito di pallio d' oro con tunica cilestre, che intronizza nel cielo la b. Vergine ornata splendidamente come un' imperatrice bizantina. Il Salvatore ha in mano un libro aperto, ove si leggono le parole: VENI ELECTA MEA ET PONAM IN TE THRONVM MEVM; la Vergine ha un volume che spiega con ambe le mani, ove si legge: LEVA EIVS SVB CAPITE MEO ET DEXTERA ILLIVS AMPLEXABIT. Prossimo al Signore ed alla sua sinistra è Pietro: il papa e martire Callisto sta vicino ed alla destra della Vergine; Cornelio e Giulio papi, Calepodio prete fanno seguito a s. Pietro; presso Callisto sta s. Lorenzo, vicino a cui è il papa Innocenzo.

Il resto del musaico è comune alle altre absidi: si veggono nella fascia inferiore le consuete dodici pecore, sei per parte uscite dalle mistiche città di Betlem e Ierusalem, che si avvicinano all' agnello divino che sta nel centro: in alto si vedono le mani dell' Eterno che protendono la corona.

Sulla fronte esterna dell' arco trionfa la croce equilatera, dalle cui braccia pendono le lettere Α Ω; la croce sta in mezzo a sette candelabri, poi seguono le simboliche imagini degli Evangelisti, e nell' interstizio i profeti Isaia e Geremia; dietro ai profeti sta piantato l' albero di palma, e su quello, presso Isaia, è posata la fenice; ognuno dei due profeti tiene alto il suo volume; nel primo si legge: ECCE VIRGO CONCIPIET ET PARIET FILIVM; nel secondo: SPC DNS CAPTVS E IN PECCATIS NRIS; a che allude il raro simbolo dell' uccello chiuso in una gabbia che si vede pendere dalle nubi.

Nella zona inferiore dell' abside sono figurate in sette quadri le storie dell' Vergine, dalla natività alla morte, con l' ordine seguente: Nascita, Annunziazione, Parto, Adorazione dei Magi, Purificazione, Transito: nel mezzo sopra la cattedra, in un settimo quadro v' è il busto della Vergine col divino figliuolo fra le imagini di Pietro e Paolo. Il primo degli apostoli pone la sua mano sul capo dell' oblatore inginocchiato ed accompagnato dallo stemma e dal suo nome: il tutto è dichiarato da questa epigrafe:

VIRGO DEVM COMPLEXA SINV SERVANDO PVDOREM
VIRGINEVM FVNDANS PER SAECVLA NOMEN
RESPICE COMPVNCTOS ANIMOS MISERA TVORVM.

Sotto l' epigrafe è lo stemma degli Stefaneschi; il nome dell' oblatore è BERTHOLDVS FILIVS PETRI.

Egli è uno degli Stefaneschi vissuto alla fine del secolo XIII sotto Niccolò IV e Bonifacio VIII: nella stessa basilica si vede la lapide sepolcrale:

BERHOLDVS FILIVS PETRI STEPHANI DE FILIIS STEPHANI

Un personnagio di questo nome, che appartiene ad una delle più potenti famiglie del Trastevere, fu senatore negli anni 1293, 96, 99.

L' autore dell' opera è Pietro Cavallini, infatti Antonio Eclissi nel 1640, nella fascia inferiore del usc, vide le lettere, perite poi nei posteriori restauri: . . . . hoc opVs feciT PETRVS. . . .

Nel primo quadro, rappresentante la natività di Maria, si vede s. Anna sul talamo, sopra il quale è scritto SCA ANNA, e vicino alla Madonna ΜΡ ΘΥ. Sotto si leggono i versi:
HVMANI GENERIS SATOR ET QVI PARCERE LAPSIS
INSTITVIS MACVLAS VETERIS VIRGINIS AVFER
ARGENTO THALAMVS TIBI SIT QVO VIRGO REFVLGENS.

Sotto il secondo quadro:

TVQVE SVPER CVNCTAS BENEDICTA PVERPERA SALVE
VIRGVLA QVAE SPONSVM NESCIS QVAM GRATIA SACRI
FLAMINIS IRRADIAT COELO MARIS ANNVE SIDVS.

Nel terzo quadro, rappresentante il parto della Vergine, si vede l' angelo che parla ai pastori colle parole: ANNUTIO VOBIS GAUDIUM MAGNU, e vicino si vede un edificio su cui è scritto TABERNA MERITORIA e dal quale esce un rigagnolo, cioè il fons olei. I versi seguenti accompagnano il quadro:

IAM PVERVM IAM SVME PATER POST TEMPORA NATVM
ACCIPIMVS GENITVM TIBI QVEM NOS ESSE COEVVM
CREDIMVS HVNCQVE OLEI SCATVRIRE LIQVAMINA TIBRVM.

Sotto la quarta scena della Adorazione dei Magi leggesi:

GENTIBVS IGNOTVS STELLA DVCE NOSCITVR INFANS
IN PRAESEPE IACENS CAELI TERRAEQVE PROFVNDI
CONDITOR ATQVE MAGI MYRRAM THVS ACCIPIT AVRVM.

Sotto la quinta scena della Purificazione:

SISTITVR IN TEMPLO PVER ET SIMEONIS IN VLNAS
ACCIPITVR CVI DANDA QVIES NAM LVMINA SERVI
CONSPEXERE DEVM CLARVM IVBAR OMNIBVS ORTVM.

La sesta scena rappresenta la dormizione di Maria secondo il notissimo troppo bizantino: vi si vede il Salvatore che scende dal cielo e colle braccia raccoglie l' anima di Maria, ritratta a guisa di bambina avvolta in bianchissimo velo; mentre gli apostoli circondano la bara in cui giace il corpo. Seguono questi versi;

AD SVMMVM REGINA THRONVM DEFERTVR IN ALTVM
ANGELICIS PRAELATA CHORIS CVI FESTINAT IRE
FILIVS OCCVRRENS MATREM SVPER AETHRA PONIT.

In questa scena, come osserva il De Rossi, è rappresentata la dormitio κοιμησις, che è distinta dalla μεταστασις translatio celebrata dai Greci.

Di fianco alla tribuna v' è una insigne cappella architettata dal Domenichino, in cui si venera una divota imagine di Maria che fu tolta nel secolo XVI da un viottolo del Trastevere detto strada cupa; denominazione che per ciò è rimasta a quella santa icone. In questa faosissima chiesa sono sepolti molti personaggi insigni per dignità, per nascita e per elevatezza d' ingegno. Ricorderò fra i primi il papa Innocenzo II, il cui corpo fu qui trasferito dal Laterano; i cardinali Silva, de Grassi, Altemps, Cecchini, Albergati e Ludovisi; Leonardo Condulmero fratello di Eugenio IV; Filippo ed Annibale Albani, zii di Clemente XI; Pietro Corradino, e gli artisti esimî Lanfranchi e Ciro Ferri. Ivi è pure sepolto mons. Giovanni Bottari, insigne archeologo e letterato.

V' ha inoltre il grandioso epitaffio del card. Francesco Armellini-Medici, mio illustre antenato, opera fatta eseguire nel 1524 dal medesimo, la cui figura in marmo è scolpita giacente sopra l'urna sepolcrale. L' Armellini-Medici fu segretario di Giulio II e del sacro Collegio. Leone X il 1 luglio 1517 lo creò cardinale; fu legato pontificio nell' Umbria, nelle Marche ed in Francia, poi amministratore delle chiese di Oppido e Gerace nel 1524, e nello stesso anno fu promosso alla chiesa arcivescovile di Taranto. Nel sacco di Roma del 1527 perdè gran parte dei suoi beni, di che si afflisse in guisa che ne morì di dolore. Il suo corpo giace inonorato in s. Maria in Traspontina. Clemente VII adoprò per suo riscatto i beni rimasti al cardinale, a cui, per la sua benemerenza verso la Chiesa, concesse a titolo d' onore la facoltà di aggiungere al suo casato quello dei Medici e di alzarne lo stemma. Benchè sontuoso, il suo vuoto sepolcro di s. Maria in Trastevere, di cui fu titolo, non ha gran pregio artistico.

Ecco il testo delle epigrafi che si leggono nel suo monumento:

EPITAPH. CARD.
FRANCISCVS ARMELLINVS MEDICES PERVSINVS TT. S. CALIXTI ET S. M. TRANSTIB. PRESB. CARD. S. R. E. CAMER. PICENI LEGAT. PERVSIE VMBRIEQ. PROLEGATVS AC GIRACE ET OPPIDEN EPVS AC TARENTI ARCHIEPVS LEONIS X ET CLEMENTIS VII PONT. MEDICOR. FRATR. MVNIFICENTIA FORTVNIS ET DIGNITATVM TITVLIS AVCTVS FLVXAM VITAE MORTALIVM IMBECILLITATEM ET RERVM INCERTAS VICES ANIMO INTVITVS NE NON PARATO DOMINVS SVPERVENIRET VIVENS ET VIGILANS DOMVM SIBI HANC MVNIVIT
AN. SAL. M D XXIIII

CERTE HOMO BVLLA EST

Dall' altra parte si legge:
DIE X. AVG. M D XXIIII
EPITAPH. PATRIS
BENVEGNATI ARMELLINO PERVSINO CARDINALIS PARENTI
SVMMAE VIRTVTIS GRATIAE ET PROBITATIS
VIRO
CVI INGENS VITAE PRAEMIVM MORS INTERCEPIT NE CARISS.
ET PIENTISS. FILII PROGRES.

Quasi dirimpetto a quello dell' Armellini, dalla parte opposta della crocera, v' ha il sepolcro del cardinale Stefaneschi degli Annibaldi della Molara, e di Filippo Alanzone, nipote di Carlo Valois, e di Filippo il Bello.

Sono da ricordare infine i depositi del celebre cardinale Stanislao Osio, morto nel 1579, e di Roberto Altemps, prefetto delle armi papali in Avignone sotto Sisto V, morto di 20 anni nel 1586. Egli fu il primo duca d' Altemps.

Presso la sacrestia, nell' andito che vi conduce, v' ha una modesta memoria del pio saccheggiatore dei cimiteri romani, Marcantonio Boldetti, il quale in questa chiesa fece trasportare moltissime lapidi cimiteriali delle catacombe romane, che poi furono in tempi successivi adoperate a lastrico della medesima e degli edifizî annessi. Negli ultimi restauri, la maggior parte di quelle preziose superstiti pietre cimiteriali fu murata nelle pareti del portico.

Quivi pure si ammira l' insigne monumento d' arte che è la custodiva degli oltreî, stupenda opera d' intaglio in marmo bianco, già tabernacolo della eucaristia. È opera di Mino da Fiesole, il celebre scultore che Pietro Barbo, poi Paolo III (1464‑1471), chiamò a Roma; nella base si legge: OPVS MINI.

Sull' altare della sacrestia v' ha un quadro della Vergine fra i santi Rocco e Sebastiano, lavoro attribuito al Perugino.

È deplorevole che la sacrestia di questa insigne basilica non si trovi, in fatto di bellezza, d' arte e di splendore, in armonia, colle monumentale chiesa a cui spetta. Sarebbe desiderabile che una mano generosa compiesse l' opera, e alla monumentale basilica del Trastevere, decorandone qual si conviene il secretarium, aggiungesse nuovo splendore, terminando così l' opera d' Innocenzo, di Gregorio e di Pio.

Ho accennato che nel portico si conservano molte pregevoli memorie ed epigrafi, parte profane, parte cristiane delle catacombe, e talune dell' età di mezzo. Fra queste tiene il primo posto l' epitaffio di Marèa, scoperto nel 1869 sotto il pavimento della chiesa, il cui testo però era già noto dalla silloge palatina, in cui era stata fino dal secolo VIII trascritto allorchè l' epigrafe era ancora al suo posto. Il De Rossi, che ha dichiarato il prezioso marmo, ha dimostrato che l' elogio spetta ad un prete di nome Marèa, morto l' anno 555. Egli, durante il periodo disastroso della guerra gotica, tenne ferma l' autorità della Sede Apostolica facendo le veci del papa:
PRESVLIS IN VICIBVS CLAVSISTI PECTORA SAEVA.

Si allude qui al tempo in cui Vigilio, partito da Roma per trattare la questione dei Tre Capitoli a Costantinopoli, avea spedito Valentino, vescovo di Selva Candida, come suo vicario in Roma, che però sorpreso dai Goti fu barbaramente mutilato. Il marmo testè scoperto in s. Maria c' insegna (e ciò la storia non ricordava) che a Valentino fu sostituito il prete Marèa, il quale frenò l' ira dei Goti e sollevò la pubblica miseria, sacrificando sè stesso a bene di tutti, vindice però della fede, poichè di lui in quell' elogio si dice anche:

TVQVE SACERDOTES DOCVISTI CHRISMATE SANCTO
TANGERE BIS NVLLVM IVDICE POSSE DEO

parole le quali fanno supporre che in quei luttuosi giorni fosse insorta anche una questione simile a quella che agitò la Chiesa d' Africa ai tempi di Stefano e Cipriano.

Eccone il testo:
† DIGNE TENES PREMIVM MAREA PRO NOMINE XPI
VINDICE QVO VIVIT SEDES APOSTOLICA
PRESVLIS IN VICIBVS CLAVSISTI PECTORA SEVA
NE MANDATA PATRVM PERDERET VLLA FIDES
TVQVE SACERDOTES DOCVISTI CRISMATEº SANCTO
TANGERE BIS NVLLVM IVDICE POSSE DEO
TE QVERVNT OMNES TE SECVLA NOSTRA REQVIRVNT
TV FVERAS MERITVS PONTIFICALE DECVS
PAVPERIBVS LARGVS VIXISTI NVLLA RESERVANS
DEDISTI MVLTIS QVE MODO SOLVS HABES
HOC TIBI CARE PATER . . . . PIETATE NOTAVI
VT RELEGANT CVNCTI QVAM BENE CLARVS ERAS
REQVIESCIT IN PACE MAREAS PVBBLICA. QVI . . . .
SI
STBASL INDC III.

Egli è chiamato vindice della Sede Apostolica, è celebrato inoltre come colui che tenne le veci del pontefice, che custodì la tradizione dei padri insegnando essere divino precetto non iterare il sacramento del crisma, e che meritò sedere nella cattedra apostolica. . . . Nell' ultima linea, assai logora dall' attrito dei piedi, in lettere più minute si legge:
REQUIESCIT IN PACE MAREAS PRESBYTER QUI VIXIT . . . . POST CONSULATUM BASILII INDICTIONE III
cioè all' anno 555 dell' èra nostra.

Il sepolcro di questo personaggio forse stava in alcuni degli oratorî esistenti nel cimitero di Priscilla e l' epitaffio fu trascritto dal nostro collettore. Morì l' anno stesso in cui si spegneva in Siracusa il papa Vigilio; Marea, insomma, governornato Roma in nome del papa durante il decennio nel quale, assente il papa, la città fu più volte desolata dai barbari. L' epigrafe ci rivela che a quelle sciagure violente s' aggiunse anche il pericolo d' uno scisma promosso da alcuni che voleano iterare il sacramento, e represso da Marea; di che non era giunto fino a noi sentore.

La lapide di tanto uomo un secolo prima avea servito di sepolcro ad un personaggio morto nel 451, che era stato scriba senatus.

In un codice chigiano d' anonimo spagnuolo si legge un' epigrafe trascritta da quel viaggiatore en cima del altar maior en una tab. de mar. Il Terribilini la registrò nelle sue schede, donde la ebbe il Marini. Dal pavimento della chiesa sono ricomparsi i frammenti di quella epigrafe veduta nel secolo XVI dallo spagnuolo: è una iscrizione del secolo incirca settimo od ottavo contenente una donazione di case e fondi rustici alla basilica.
Gregorio III offrì alla medesima tre gabate d' oro purissimo, che erano dischi o piatti concavi, pendenti da catene, e in essi si leggeva: DE DONIS DEI ET SANCTAE MARIAE DOMNUS GREGORIUS PP. IIII QUI PURO CORDE OBTULIT III CARATAS SAXISCAS.

Narra il Terribilini che a suo tempo, fatto un cavo presso il portico di s. Maria, vi si rinvennero tre sarcofaghi fittili pieni di ossa, due sculture e la seguente epigrafe cristiana:

HIC REQUIESCIT . . . .
. . QUE NATA EST IN civitate . .
. . G XI ET XIII D . . . .

Il ricordo della patria nelle epigrafi cristiane è caso abbastanza raro, ed un altro esempio ce lo porge un marmo del cimitero di s. Valentino sulla via Flaminia, ove si legge d' una fanciulla Veneriosa quae nata est in civitate interamnatium (Terni).

La chiesa è stata sempre parrocchiale, ed ho trovato in un documento vaticano che il 2 agosto del 1624 aveva sotto la sua giurisdizione 710 famiglie con 4341 anime.

Nell' archivio dei Brevi si conserva la lettera pontificia, ove fino dal 1592 si concede ai canonici di s. Maria: licentiam utendi rocchetto, e l' altra ostendendi reliquias populo in Dominica de Albis singulis annis et cum indulgentia, la quale fu accordata l' anno seguente 1593. Nel secolo XVI annesso alla basilica v' era un granaio, di che si fa menzione dalla dotta abbadessa di s. Cosimato, suor Orsola Formicini, che nella cronaca manoscritta di quel monastero ricorda quello stabile e dice che fu portato in dote nel 1537 da suor Portia de Micinelli.

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